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Un pranzo nuziale alla Corte dei Malatesta

 
 
Julia Berger
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Feste conviviali

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Molti si sono domandati se Sigismondo Pandolfo Malatesta, generoso e raffinato protettore delle lettere e delle arti, sia stato mecenate anche in cucina. La latitanza di documenti fa sospettare che la cucina malatestiana, anche se non si sarà gran che discostata da quella delle altre corti italiane, non abbia goduto di una particolare fama.

A Ferrara, resteranno memorabili i pranzi nuziali di Ercole I e Eleonora d'Aragona (1473) e di Alfonso I e Lucrezia Borgia (1501). Il matrimonio di Roberto Malatesta, figlio di Sigismondo, e Isabetta, celebrato in pompa magna il 25 giugno del 1475, ci consegna da parte sua la principale fonte sulla cucina malatestiana: la famosa "lista" che ci tramanda la nota delle materie prime acquistate per il pranzo nuziale e, soprattutto, l'elenco delle portate: il menù, insomma.

Occorre premettere che il banchetto rinascimentale si articola in una successione di "servizi", che non sono singoli piatti, ma generosi buffet posti sulle tavole simultaneamente. I "servizi" si dividono in "servizi di credenza" e "servizi di cucina" (buffet freddi e caldi, per intenderci), che si alternano. Va da sè che i commensali non erano obbligati a divorare, e neppure ad assaggiare tutto. Agli altolocati e fortunati convitati al banchetto nuziale di Roberto e Isabetta furono apparecchiati quattro servizi, seguìti, per soprammercato, da una doppia "colatione doppo el pasto". L'esordio fu a base di granitiche schiacciate di pinoli e mandorle ("pinochiati" e "marzapani"), torte d'erbe e formaggio, arrosto freddo al "savore verde" (antenato diretto della nostra salsa verde) e capponi lessi al "savor biancho", una delicata salsa alle mandorle, uova e agresto. Seguirono, col secondo servizio, torte dolci-salate, prosciutto cotto nel vino, arrosto di fagiani e pavoni in salsa "di pavo" (è la nota "salsa peverada", a base di fegatelli, crosta di pane, uva passa, aceto e spezie), crostate ed anatre in "salsa ginestrina" (specie di raffinata mostarda allo zenzero e zafferano: donde il nome, che richiama il giallo della ginestra).

Dopo aver fatto rifiatare i commensali con un'insalata di radici amare, si introdusse il terzo servizio, che comprendeva storioni lessi accompagnati dal "sapore" (una salsa ottenuta dal mosto), arrosto di pesce "grosso" alle arance, ostriche, marzapani, frutta. Il banchetto si chiuse con un quarto ed ultimo servizio di cialde, frutta confettata e "calisoni": ravioli dolci farciti di pasta di mandorle. A fine pranzo, mentre si aprivano le danze, si distribuirono frutti di terra e di mare in zucchero, e si esibirono i "trionfi", di zucchero anch'essi: putti, cavalli, elefanti (simbolo araldico dei Malatesta) e quattro autentici capolavori d'arte pasticcera che riproducevano la fontana della piazza, l'arco d'Augusto, Castel Sismondo e il Tempio Malatestiano "como doveva essere fornito", cioè secondo il progetto definitivo dell'Alberti. Peccato che di questo effimero e dolce Rinascimento non si sia conservato nulla.

I banchetti rinascimentali non erano puri eventi gastronomici, ma pranzi-spettacolo e dimostrazioni di ricchezza e magnificenza. Lo spreco era perciò programmatico. Il convito nuziale di Roberto e Isabetta - dove, fra l'altro, si consumarono 8.600 paia di polli, 45.000 uova, 180 prosciutti, 40 forme di parmigiano, 13.000 arance e 120 botti di vino - costò la bellezza di 30.000 ducati: una cifra da capogiro, ma "investita" nella celebrazione di un matrimonio che era anche l'atto di riconciliazione di due potenti famiglie già mortalmente nemiche.